Sei qui

Venezia. Alle Gallerie dell’Accademia in mostra tre opere di Giorgione riunite in un’unica sala

In occasione del bicentenario della prima apertura pubblica del museo  i visitatori potranno vedere assieme la famosa "Tempesta" e la "Vecchia", già presenti alle Gallerie, e il dipinto "Concerto o Davide Cantore", opera data in comodato quinquennale, proveniente da un collezionista privato VENEZIA - Le Gallerie dell’Accademia per festeggiare il bicentenario della prima apertura pubblica del museo, continuano con un ampio programma di iniziative di conservazione e valorizzazione, iniziato già nel settembre 2017 con la mostra Canova, Hayez, Cicognara. L'ultima gloria di Venezia, in corso sino al prossimo 8 luglio. Questa importante ricorrenza è stata celebrata dal museo anche con un notevole incremento del patrimonio artistico,  reso possibile dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con la collaborazione di Fondazione Venetian Heritage Onlus e Fondazione Venice in Peril Fund (Londra).  E’ stata inoltre attivata, insieme all'Accademia di Belle Arti, la prima residenza d'artista che prenderà il via nel 2019. Ma le novità continuano. Le Gallerie hanno infatti annunciato, il 26 giugno, l’esposizione di tre dipinti di Giorgione, un tempo appartenenti alla collezione del patrizio veneziano Gabriele Vendramin (1484-1552) riuniti, per un mese, in un'unica sala. I visitatori potranno quindi vedere assieme la famosa Tempesta e la Vecchia, già presenti alle Gallerie, e il dipinto Concerto o Davide Cantore, opera data in comodato quinquennale, proveniente da un collezionista privato.  Le tre opere saranno esposte in sala XXIII, dopodiché la “Vecchia” sarà sottoposta a un importante restauro, mentre rimarranno visibili gli altri due dipinti. L’allestimento temporaneo le vedrà accostate per permettere di cogliere diverse declinazioni dell’arte di Giorgione alle Gallerie: la Tempesta un’innovazione verso la pittura di paesaggio, la Vecchia un ritratto del tempo, il Concerto una nuova monumentalità della figura. Ha spiegato  Paola Marini, Direttrice delle Gallerie dell'Accademia di Venezia: “L’itinerario di iniziative e la riflessione che hanno accompagnato l’intenso bicentenario delle Gallerie dell’Accademia trovano una nuova tappa saliente nel deposito quinquennale di questo dipinto così importante per la storia dell’arte e del collezionismo. Ci onora il gesto di fiducia dei proprietari e la loro scelta lungimirante di accostare il Concerto già Vendramin agli altri dipinti di Giorgione presenti nella stessa prestigiosa raccolta veneziana. L’esperienza della visita del nostro museo sarà da oggi più unica e coinvolgente”. I dipinti di Giorgione nella collezione Vendramin I tre dipinti che le Gallerie esporranno insieme, un  tempo erano tutti parte della collezione veneziana del patrizio Gabriele Vendramin. Quest’ultimo, membro di una casata ascesa al patriziato a seguito dell’aiuto dato alla Repubblica durante la guerra contro Genova per la riconquista di Chioggia nel 1381, era discendente di Andrea Vendramin, doge di Venezia dal 1476 al 1478.  La presenza della Tempesta nella raccolta di Gabriele Vendramin venne annotata nel 1530 da Marcantonio Michiel con la succinta descrizione seguente: “El paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana et il soldato, fu de mani de Zorzi de Castelfranco”, che, oltre a cogliere lo straordinario effetto meteorologico dell’imminente temporale, contiene il titolo con cui ancora oggi indichiamo il quadro. L’esistenza nella medesima collezione di altri due dipinti di Giorgione, la Vecchia e il Concerto, si basa sull’inventario dei beni redatto tra il 1567 e il 1569.  In seguito si rintraccia menzione del Concerto nell’elenco, redatto tra il 1667 e il 1669, della collezione lasciata in eredità dal pittore Nicolas Régnier, costituita proprio al momento della dispersione nel 1657 della raccolta Vendramin, ad opera degli eredi.  Il riconoscimento della paternità giorgionesca del dipinto si deve a Roberto Longhi, che si espresse brevemente in tal senso nel Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (1946) e più diffusamente in una lettera indirizzata, il 30 marzo 1944, al collezionista milanese Gianni Mattioli, allora in procinto di acquistare l’opera. Il quadro venne esposto a Venezia nel 1955 alla mostra giorgionesca con un’attribuzione dubitativa al maestro di Castelfranco. Gli studiosi favorevoli all’autografia giorgionesca collocano l’opera nel segmento finale della produzione dell’artista, la cui ricostruzione risulta particolarmente complessa data la scarsità di testimonianze superstiti e il loro cattivo stato di conservazione. Già a partire da Longhi, l’accento viene posto sulla pronunciata influenza di Dürer , ma allo stesso tempo vi si vede riflesso il nuovo orientamento di Giorgione verso il classicismo, che lo porta ad una nuova monumentalità nella presentazione della figura, dilatata a riempire l’intero spazio del dipinto, e amplificata dall’impiego di una pennellata ampia e libera. Il soggetto del dipinto è stato diversamente decifrato. Alle possibili interpretazioni della scena quale Concerto, secondo l’inventario Vendramin, oppure Sansone deriso, sulla scorta dell’inventario Régnier, si è di recente aggiunta un’altra proposta formulata da Giorgio Fossaluzza (2009): si potrebbe trattare di una libera interpretazione di un episodio veterotestamentario, meglio compatibile anche con le vesti dei personaggi, riconosciute come costumi ebraici: al centro Davide in atto di cantare, accompagnandosi con la cetra per alleviare la tristezza del re Saul, alla presenza di suo figlio Gionata. Laura Mattioli ritiene che si possa riconoscere nel dipinto un autoritratto di Giorgione stesso, che si rappresenta come “Davide cantore”, con un riferimento all’attività di musico dell’artista. Già in precedenza Giorgione si era raffigurato in veste di Davide, come testimonia la tavola oggi all’Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig citata del Vasari e riprodotta in un’incisione di Wenceslaus Hollar prima che fosse tagliata nella parte bassa, raffigurante la testa di Golia. I lineamenti del volto dei due ritratti, malgrado l’ardito scorcio dal basso nel nostro, sono infatti molto simili. Le indagini all’infrarosso e radiografiche, compiute in occasione dell’esposizione del dipinto a Castelfranco nel 2009, hanno rilevato una redazione pittorica sottostante, di andamento orizzontale, in cui è possibile riconoscere un paesaggio boscoso con la figura di un soldato con scudo che si piega a specchiarsi in un ruscello, un’iconografia tipica del mondo giorgionesco. {igallery id=5790|cid=1058|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0} ...

Articoli Correlati

Lascia un commento