«Terremoto: ricostruire “com’era dov’era” non sia un dogma»
Norcia (Perugia) e Amatrice (Rieti). Ricostruire chiese e gli altri edifici storici terremotati seguendo alla lettera la formula «com’era dov’era»? Dove possibile, ma non deve essere un dogma, asserisce l’ingegnere Stefano Podestà: docente all’Università di Genova, dal sisma in Centro Italia del 2016 è uno dei tecnici incaricati dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e lavora a Norcia, nella frazione di Campi di Norcia per la chiesa di San Salvatore in Campi e ad Amatrice. Podestà è uno di quei tecnici che si sporcano le scarpe tra le macerie, indossano il casco, in mezzo ai restauratori e i vigili del fuoco. E a chi lamenta (a ragione) ritardi nel recupero delle case rispetto ai monumenti risponde: restaurare edifici simbolo è il passo preliminare per restituire la vita a un borgo altrimenti svuotato e spesso è il passaggio che consente di rientrare nelle abitazioni.Ingegnere, intanto lo stato delle cose: a che punto siamo a Norcia? Rispondo citando quello di cui mi sono occupato direttamente: fatta la prima parte della messa in sicurezza della cattedrale Santa Maria Argentea, e della Torre Civica in piazza San Benedetto, stanno per iniziare i lavori della parte absidale della concattedrale per rendere abitabili le case adiacenti e sto lavorando da giugno a San Salvatore in Campi, nell’omonima frazione. Ma diverse sono le chiese e gli edifici monumentali messi in sicurezza.Ad Amatrice? Stiamo mettendo in sicurezza San Francesco (il Duomo): conclusa la prima parte, sta per iniziare la seconda fase. Da agosto si è concluso l’intervento di messa in sicurezza della chiesa di Santa Maria delle Grazie nella frazione di Prato.Prima i monumenti e poi le case? Più cittadini hanno contestato questa scala di interventi.C’è chi ritiene sia una perdita di tempo recuperare i beni monumentali rispetto agli edifici residenziali. Ritengo sia sbagliato dirlo per più motivi. Se si perde l’identità culturale e storica è difficile ricostruire in paesi senza identità. E poi molti edifici hanno resistito al sisma ma sono stato dichiarati inagibili per la possibilità che ci crollasse una chiesa sopra. A Norcia mettere in sicurezza la Torre Civica del Municipio e la facciata e la parete laterale di Santa Maria Argentea ha contribuito a riaprire strade del centro e quindi di andare verso una normalità. Sempre su Santa Maria Argentea: sistemata la parte absidale tre famiglie possono attivare i lavori di recupero e rientrare nelle proprie case: da un lato lo Stato risparmia su tre moduli abitativi, quindi 150mila euro; dall’altro quelle persone tornano a casa propria, e questo non ha prezzo.Come ricostruire quanto è crollato?Santa Maria delle Grazie nella frazione di Prato ad Amatrice, per esempio, non è crollata interamente quindi si può restaurare. Su San Benedetto e Santa Maria Argentea a Norcia invece si apre la partita su come fare. Ci sono pensieri diversi. La volontà di ricostruire «com’era dov’era» va incontro alla pancia delle persone. Psicologicamente è comprensibile voler tornare indietro: un sisma è una cesoia nella vita, dura pochissimo e arriva senza preavviso. Viene in mente Venzone in Friuli. Lì, dopo il terremoto del 1976, hanno ricostruito con le pietre originarie.È difficile all’esterno far capire come l’identità culturale passi per i monumenti. È il concetto che stiamo cercando di applicare con la messa in sicurezza: selezionare, catalogare e collocare le macerie in modo sistematico per avere la possibilità di ricostruire è prioritario in questo momento. Salviamo il recuperabile per dare ai restauratori questa possibilità. Anche nel terremoto del Friuli la popolazione è stata, in una certa fase, molto critica a questa ricostruzione fino ad arrivare a dare fuoco ad alcuni elementi lignei.Lei sembra scettico che questa sia l’unica strada.Non sono scettico, però sono aperto a chiedermi se questa sia l’unica strada. Vedo moltissimi edifici ecclesiastici crollati. Possiamo permetterci di ricostruire con questi criteri? Ricordiamoci il passato. La chiesa di Santa Maria Argentea per far posto alla Castellina fu smontata e ricostruita dove è ora. Dopo il terremoto del 1703 crollò e fu ricostruita a tre navate, non a una navata. Oppure prendiamo il Palazzo del Municipio con porticato e terrazzo. La configurazione attuale non è quella originaria: è del 1859, dopo un terremoto che fece crollare la facciata sopra il porticato. Gli edifici si modificano nel tempo: «Com’era dov’era» ha quindi un significato in uno spazio temporale limitato ed è un concetto legato a una visione romantica, ma in passato si è sempre cercato di eliminare elementi che non hanno funzionato di fronte al terremoto. Cercare di imparare dal terremoto significa anche non riproporre le stesse vulnerabilità. Esiste da sempre una cultura sismica della riparazione e della prevenzione che ha permesso di migliorare nel tempo le tecniche costruttive storiche, di adottare presidi antisismici che hanno dimostrato la loro affidabilità strutturale, senza però necessariamente riproporre vulnerabilità intrinseche che spesso passano proprio da una sbagliata concezione architettonica funzionale, sia legata a elementi storici fortemente vulnerabili, sia a trasformazioni recenti del costruito storico che hanno introdotto nuove criticità. Avete catalogato le pietre?A San Salvatore di Norcia, per esempio, abbiamo marcato tutti i conci per terra per ricostruire, catalogato tutto concio per concio e preso le misure per ricollocarli al loro posto. Questa operazione non sarebbe stata possibile senza la supervisione dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e senza l’iniziale supporto di Chief, un associazione non profit di restauratori che hanno operato come volontari nei primi mesi di questo cantiere. È importante in questa fase salvare il salvabile; selezioniamo tutte le macerie, in modo da ragionare poi senza soluzioni precostituite. In questo momento è meglio avere più possibilità: nel rispetto del monumento senza fossilizzarsi come se il «com’era dov’era» fosse l’unica scelta.Il vescovo di Norcia e Spoleto Renato Boccardo ha lanciato l’ipotesi di un concorso di idee tra architetti per San Benedetto. Che cosa ne pensa?Se si sceglie questa strada deve avere paletti molto rigidi. E non deve essere imboccata per forza per tutti gli edifici. Se abbiamo trecento conci frantumati e se ne sono salvati 30 allora è meglio pensare a qualcosa di diverso. Ritengo sbagliato creare un edificio completamente falso.Altra cosa importante è come un edificio risponde a un sisma. A Norcia le case hanno resistito perché sono caratterizzate da celle abitative piccole, non stravolte da ristrutturazioni architettoniche ardite che hanno permesso di mantenere quasi intatti i muri di spina, le finestre allineate e soprattutto per gli interventi di miglioramento sismico effettuati dopo il terremoto del 1979 e 1997.I cordoli e coperture di cemento armato installati in passato nelle chiese non hanno provocato o facilitato crolli? Si disse che così accadde alla Basilica di Assisi nel terremoto del 1996.Odio le demonizzazioni e le panacee. I cordoli di cemento armato non sono malefatte o stupidaggini. Erano previsti e consigliati per migliorare la risposta strutturale e l’idea di inserirli nasce dall’osservazione del danno fatta dopo il terremoto dell’Irpinia nell’80: in quell’evento si contarono oltre tremila morti. Ricercare un comportamento scatolare di un edificio in muratura è banalmente corretto e questo obiettivo può essere anche ottenuto tramite cordoli e solai rigidi se (e solo se) le murature sono caratterizzate da un elevata rigidezza e resistenza. Diversa è la risposta su murature scadenti, che ahimè sono spesso molto presenti sul territorio nazionale.In una frazione di Castelsantangelo sul Nera nelle Marche possiamo testimoniare di una chiesetta crollata mentre il cordolo era rimasto sospeso. Se la muratura è di scadente qualità, caratterizzata da paramenti mal ammorsati, con conci sbozzati e malta povera di legante, un cordolo in cemento armato non ha alcuna funzione e una nuova copertura, o solai, sempre in cemento armato, contribuisce a buttar giù le pareti in muratura. Nelle chiese i rifacimenti delle coperture in cemento armato con annessi cordoli sommitali sono ulteriormente critici perché la risposta sismica delle chiese è molto lontana da quella di un edificio scatolare. La mancanza di solai intermedi, la presenza di pareti snelle e di elementi spingenti già da un punto di vista statico rappresentano elementi di grande vulnerabilità: pensare di ricreare un comportamento scatolare in queste situazioni con un orizzontamento rigido sommitale è una follia, che spesso crea, invece, come unico cambiamento una nuova massa in sommità, incrementando di fatto l’azione sismica. È proprio la loro conformazione architettonica che rende, in genere, gli edifici ecclesiastici più vulnerabili; se gli interventi non terranno conto di tali peculiarità continueremo a vederli crollare. Dopo le scosse del 24 agosto 2016 sarebbe stato possibile prevenire i crolli di ottobre?La risposta è NO. A Norcia dopo il 24 agosto le chiese erano danneggiate poco; oltre ad essere impossibile prevedere la spaventosa scossa del 30 ottobre, non era immaginabile preventivamente progettare un intervento di messa in sicurezza correlato a tale evento. Diverso è il discorso su Amatrice. Lì i danneggiamenti sono stati gravissimi fin dalla scossa del 24 agosto. Nonostante le difficoltà oggettive di operare in una situazione di così grande emergenza, si poteva fare di più razionalizzando gli interventi per la messa in sicurezza. Progettare la messa in sicurezza per il Duomo di Amatrice è complesso, richiede un tempo fisiologico, per la progettazione, per realizzare le opere necessarie alla messa in sicurezza stessa, per mettere in campo attrezzature e personale. Invece in chiesette come quella di Santa Savina a Voceto sarebbe bastata una cerchiatura per limitare il danneggiamento connesso alle scosse di replica. Se la chiesa ha una struttura semplice si può partire subito: ritengo sia l’unica situazione in cui si potrebbe migliorare. Per questi casi, la schedatura del danno, soprattutto in zona epicentrale, deve avere come finalità l’individuazione degli interventi di messa in sicurezza e la loro successiva immediata realizzazione. Purtroppo si è data priorità a schedare i danni anche in zone molte lontane dall’epicentro, senza preoccuparsi che gli interventi di messa in sicurezza che venivano individuati durante i sopralluoghi avessero seguito; ma domando: l’obiettivo è la schedatura o cercare di preservare da futuri anneggiamenti?Articoli correlati:Terremoti, città e beni culturali di ambito religiosoAdotta un Museo: la campagna di Icom per i 34 musei colpiti dal terremoto nell'Italia CentralePericolo inverno, restauratori in soccorso degli affreschiIl World Monuments Fund inserisce Amatrice nell'elenco dei siti da tutelare Risorse in rete:Sisma Centro Italia: recuperate oltre 30 mila opere d’arte ...