Un doppio appuntamento musicale a Caserta e a Napoli anticipa uno straordinario evento espositivo-musicale che si terrà a novembre a San Pietroburgo, nel nome di due grandi e raffinati compositori del Settecento, Domenico Cimarosa e Giovanni Paisi…
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Canaletto al Museo di Roma. Il videoservizio
Dopo 250 anni dalla morte di Giovanni Antonio Canal noto come Canaletto, la mostra ospitata fino al 19 agosto 2018 a Palazzo Braschi, ne svela l’autentico genio pittorico attraverso il più grande nucleo di opere mai esposto in Italia
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LeggiMuseo di Roma. “Canaletto 1697 – 1768” come non l’avete mai visto. Video
L’esposizione negli spettacolari saloni di Palazzo Braschi, intende celebrare il 250° anniversario della morte del pittore veneziano con il più grande numero di creazioni mai arrivate in Italia, sessantotto tra dipinti e disegni e documenti, di cu…
LeggiHorti Farnesiani. Il Palatino e il suo giardino segreto in mostra
Dopo la conclusione del restauro delle Uccelliere farnesiane, una esposizione, organizzata da Electa e promossa dal Parco Archeologico del Colosseo, racconta dal 21 marzo al 28 ottobre 2018 uno dei luoghi più celebri e simbolici della Roma r…
LeggiIl fascino visionario di Piranesi in mostra ai Musei Reali di Torino. Foto
“Piranesi. La fabbrica dell’utopia” arriva nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, dove sarà ospitata dal 6 dicembre 2017 all’11 marzo 2018
TORINO – La mostra, a cura di Luigi Ficacci e Simonetta Tozzi, con l’organizzazione …
LeggiKeith Haring e Paolo Buggiani a Firenze. La vera origine della Street Art. Intervista a Paolo Buggiani

Sono le sale di Palazzo Medici Riccardi di Firenze ad accogliere, dal 26 ottobre al 4 febbraio 2018, “MADE IN NEW YORK. KEITH HARING, (Subway drawings) Paolo Buggiani and co. La vera origine della Street Art”, la mostra a cura di Gianluca Marziani, prodotta e organizzata da MetaMorfosi
FIRENZE – Keith Haring e Paolo Buggiani sbarcano insieme a Firenze, protagonisti di una grande esposizione che ha lo scopo non solo di analizzare le origini di un movimento spontaneo che, da oltre quarant’anni, anima pareti, strade, edifici e ogni superficie, ma anche di chiarire e tracciare una linea di demarcazione tra la cultura del Graffitismo e la dimensione più ampia della Street Art.
Lo sfondo da cui prende il via l’esposizione è quello di una New York fine anni Settanta inizi anni Ottanta, in pieno fermento creativo, crogiolo di moti generazionali come graffitismo, rap, skateboarding e break dance. E’ nella Grande Mela che Buggiani, toscano classe 1933, inizia ad usare la metropoli come un museo a cielo aperto, trovando terreno fertile per le sue “incursioni”, ed è qui che conosce Keith Haring, il ragazzino geniale che presto sarebbe diventato una leggenda dell’arte contemporanea. Ed è proprio Buggiani che, intuendone la potenza creativa e soprattutto il potenziale futuro, quasi da collezionista ante litteram, stacca dai muri, salvandole, una cinquantina di Subway drawings, ovvero le prime opere di Haring, realizzate in gessetto sulle affissioni nere che coprivano le pubblicità scadute.
Haring all’epoca agiva rapidamente e contro il volere delle guardie o sotto gli occhi dei passanti, scivolando via un attimo dopo l’esecuzione. Motivi semplici ma iconici quelli rappresentati dal giovane artista, che in brevissimo tempo però sarebbero diventati il prologo di una rivoluzione creativa globale. Insomma tutto è davvero partito nei sotterranei di New York, dal sottosuolo verso l’olimpo dei musei e delle grandi gallerie. Dal canto suo Buggiani nella Grande Mela, accendeva l’antagonismo urbano tramite performance plateali ad alto contenuto “politico”. Buggiani creava scalpore e bellezza spontanea allo stesso tempo, rompendo le dinamiche della quotidianità con la “straordinarietà” delle sue azioni, diffondendo un messaggio diretto, di libertà, di ribellione, ma anche di pace, inducendo quindi anche a una riflessone.
La mostra fiorentina presenta oltre 20 opere originali di Haring, salvate dalla distruzione e conservate da Paolo Buggiani. A riprova inoltre della loro amicizia, è presente un prezioso disegno di Haring che ci mostra un uomo con le ali e una dedica: FOR PAOLO. Da quel momento, il personaggio volante di Buggiani sarebbe diventato uno dei soggetti pittorici del genio di Kutztown. Sempre di Haring si vedranno due opere su tavola del 1983.
Un’ampia sezione della mostra racconta l’arte di Paolo Buggiani, con decine di fotografie che documentano le sue performance e le sue installazioni a New York; alcune immagini sono state ritoccate in modo originale, così da trasformare la foto di un’azione nell’icona pittorica di un sogno realizzato. Completano il progetto i lavori di alcuni compagni di strada (Richard Hambleton, Ken Hiratsuka, Jenny Holzer, Barbara Kruger, Les Levine, David Salle), oltre ad una pregiata selezione di poster originali, fotografie e documenti video che ampliano i contenuti e le testimonianze di una storia bellissima. In esposizione anche un cospicuo nucleo di sculture dei suoi rettili in lamiera leggera, una sorta di bestiario tecnoprimitivo dislocato negli spazi storici di Palazzo Medici Riccardi. Si aggiungono poi due sculture di grande potenza scenica: la barca e l’automobile, entrambe in lamiera ritagliata e modellata, due capolavori che sembrano scendere direattamente da Mad Max per parcheggiare nel cuore del Rinascimento fiorentino. Infine anche il Minotauro e Icaro, due corpi mitologici che hanno attraversato New York e altre città del mondo, giungono oggi dentro il museo, nel luogo che certifica il valore storico di un’idea vincente.
Ma non è tutto. Nel mese di dicembre (data ancora da stabilire) verrà presentato un volume che documenterà il progetto nella sua interezza. Nella stessa data sarà organizzata anche una giornata di studi che coinvolgerà artisti, storici dell’arte, galleristi, collezionisti e altri operatori del settore, con lo scopo di chiarire alcuni nodi storici e codificare le conseguenze germinative di un linguaggio divenuto globale.
La mostra è patrocinata da Città Metropolitana dI Firenze con il contributo della Regione Toscana.
Foto inaugurazione
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Foto dell’allestimento
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Alcune opere
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Paolo Buggiani. L’intervista
In occasione della mostra fiorentina, abbiamo avuto modo di parlare con Paolo Buggiani, con l’intenzione di approfondire alcuni aspetti della sua evoluzione artistica e di comprendere la portata rivoluzionaria della Street Art, con le sue implicazioni politiche, sociali e culturali, che vanno ben oltre rispetto al fenomeno del Graffitismo.
Partiamo dunque da New York, dove tutto è cominciato e che per lei è stato il “campo d’azione, di “battaglia”, dove scelse un approccio, se vogliamo, più “effimero” rispetto agli inizi della sua carriera, quando il suo fare artistico rientrava ancora in canoni e modalità più convenzionali
Fino a che non sono arrivato a New York non ho cambiato il mio modo di pensare. – Spiega Buggianii, che ci racconta che, tuttavia questo cambiamento è stato preceduto da un’esperienza parigina -.
Negli anni Cinquanta ero a Roma presso la galleria Schneider da diversi anni, ed ero tra i più giovani pittori, “accettato” da quelli che avevano 20anni più di me, come Turcato,Consagra… Agli inizi degli anni Sessanta avevo preso uno studio a Parigi e presentavo una mostra alla Galleria di Wilfredo Lam, che aveva visto e apprezzato i miei quadri. Proprio a Parigi è cominciato il mio cambiamento. Andai infatti a vedere una mostra di Yves Klein alla Galerie Iris Clert. Quell’esposizione rappresentò una rottura rispetto alla mia concezione più convenzionale di arte. La galleria era tutta dipinta di blu, la mostra era quindi la galleria stessa.
Io non avevo venduto quadri a Parigi, forse due mi sembra, ma li comunque conobbi Paul Bianchini che mi invitò a ripetere la stessa mostra a New York. Partii dunque per New York, in nave. Sei giorni di viaggio e col rischio di non arrivare. A metà viaggio, infatti, arrivò la notizia che Kennedy aveva intimato le forze russe al ritiro da Cuba, il rischio era quello di una guerra atomica. In quel momento proprio in mezzo al mare pensai “speriamo non scoppi la guerra propio adesso”!
Alla fine però arrivò a New York e li cominciò il vero cambiamento…
Arrivai a New York all’alba, quando era immersa nella nebbia. Sembrava una specie di sogno. In quel periodo rimasi molto impressionato da alcuni cartelli, con scritte tipo “don’t walk”, le luci che si accendevano e spegnevano, dai cantieri per la costruzione di nuovi grattacieli. Tutto andava molto veloce e io cominciai a fare una serie di quadri ispirati proprio a questo dinamismo newyorkese, quadri con luci, con frecce che indicavano la direzione da prendere.
Li ho conosciuto Andy Warhol, il direttore del Metropolitan Museum, la fotografa Diane Arbus, ho conosciuto i protagonisti della Pop Art che stava emergendo. Questo è stato il primo viaggio a New York, dove sono rimasto fino al ’68, poi sono tornato in Italia per dieci anni. Dopo l’esperienza americana avevo cambiato completamente il mio modo di pensare. Non dipingevo più nel modo astratto tradizionale. Avevo un’altra percezione anche del tempo. Una posizione bilaterale tra la pittura e la ricerca del tempo, senza la preoccupazione di quanto duri l’opera. Il tempo soggettivo è misurato dalla durata della nostra vita, mentre il tempo oggettivo è infinito.
Dopo un periodo di dieci anni trascorso in Italia sul finire degli anni ’70, lei torna nuovamente a New York ed è in questo momento che avviene la vera trasformazione in artista “di strada”
Sono tornato a New York per presentare “l’arte indossabile”. Era quindi evidente che l’arte per me non era più un quadro, ma addirittura qualcosa da indossare. Il progetto era stato già presentato a Milano per Fiorucci, che all’epoca era veramente all’avanguardia e rappresentava il punto di rottura con la tradizione. Io inoltre stavo sperimentando nuove tecniche artistiche. Tornato a New York ho cominciato a considerare questa città come un grande labirinto, ho chiamato questo nuovo modo di fare arte “mitologia urbana”, la mitologia greca veniva così inserita in un contesto urbano, dentro la città moderna. Ho cominciato ad introdurre nelle mie “incursioni” la figura del Minotauro che rappresenta l’aggressione e anche la parte erotica e di Icaro che rappresenta il sogno, la fuga.
Poi c’è stato l’incontro con gli altri Street Artist e con Keith Haring. Come è avvenuto?
Mi sono trovato coinvolto con un gruppo di Street Artist. Dalla comunicazione reciproca è nata una esperienza comune, tuttavia non c’era una corrente individuabile con elementi identificabili, ognuno realizzava la sua arte pensando con la propria testa con l’intento di trasmettere determinati messaggi. Pur facendo parte del movimento “Street art” ogni individuo era completamente indipendente.
Keith Haring, per esempio, cercava di parlare al pubblico attraverso dei disegni fatti nella metropolitana, talmente semplici che potevano essere lettie osservati rapidamente durante le soste nelle stazioni. Io fotografavo questi disegni sulle pubblicità scadute fatte con il gessetto e seguivo lo sviluppo di questo linguaggio figurato, di settimana in settimana, ma soprattutto i suoi messaggi sociopolitici.
Haring conosceva a sua volta le mie sculture volanti di Icaro che io attaccavo alle “Fire escape”, alle scale antincendio. Si vedevano dalla strada queste silhouette del pattinatore nero con la vela colorata. La gente le fotografava e Haring mi raccontò scene a cui lui stesso aveva assistito in cui la polizia tentava di tirare via queste sagomeperché ritenute pericolose, ma di fatto non lo erano. Questo pattinatore volanteè entrato poi anche nei personaggi di Haring e quando ci siamo conosciuti lui mi dedicato un catalogo intitolato FOR PAOLO, appunto con l’uomo volante. Anche nell’ultimo grande pannello che ha realizzato a Pisa che si chiama “Todo mondo” c’è il mio personaggio dell’uomo volante, si trova sulla parte sinistra dell’opera.
La sua arte, come pure la Street Art, sottende quindi un messaggio politico e sociale. Ci sono differenze con il movimento attuale?
Assolutamente, il messaggio è fondamentale e l’artista aveva il suo modo di trasmetterlo. Jenny Holzer scriveva “questa è un’arte che si suppone non debba esistere. E’ un’arte messa in posti dove tutti possano vederla. E’ un’arte che tratta di problemi seri. E’ un’arte talmente bella per dimostrare quanto le cose potrebbero essere meravigliose”. Solo queste poche parole spiegano il concetto di Steet Art che purtroppo oggi è stato travisato e mal interpretato in questo passaggio da New York all’Italia, in un modo che si avvicina molto più alla decorazione. La vera Street Art sottende appunto un messaggio politico, sociale. Basti pensare ad esempio a Ken Hiratsuka che attualmente sta realizzando un monumento celebrativo in Giappone, dedicato a dei pescatori che rimasero uccisi durante lo sgancio della bomba su Hiroshima. In porto è tornata questa barca con i pescatori tutti morti. Una denuncia, un memento per l’umanità di quello che potrebbe succedere se scoppiasse una guerra atomica. Nell’82 io ad esempio ho incendiato la silhouette di una famiglia (babbo, mamma e figli a grandezza naturale) davanti al Palazzo dell’Onu, sempre per celebrare l’anniversario della bomba su Hiroshima. Per due giorni sono andato davanti alle Nazioni Unite senza incendiare l’opera, perché ero tenuto sotto controllo. Poi la terza volta sono andato, era presente la televisore italiana e una giornalista, fotografa del ‘Village Voice’. Ho avvertito “arrivo alle sette in punto accendo e scappo”. Invece di utilizzare delle corde in fibra di vetro, che si imbevono con del keronsene, utilizzai una mistura di acetone ed alcool, perché brucia immediatamente e dura molto meno, quindi il tutto è durato circa un minuto e mezzo non di più.
Quello che voglio dire con questi esempi è che un’arte senza messaggio personalmente la trovo quasi inutile, rasenta la decorazione, l’artigianato. Oggi la street art non è portatrice di un messaggio, si ferma all’esecuzione manuale.
Voglio portare anche altri esempi significativi per far comprendere questo concetto. Uno è quello di Barbara Kruger, di cui espongo una foto in questa mostra. La foto rappresenta uomini in giacca e cravatta, al centro c’è un altro uomo, un amico che viene preso a scapaccioni e sopra è impressa una scritta di Jenny Holzer che recita “L’uomo inventa strani riturali per avere la scusa di toccare la pelle di un altro uomo”. E poi ancora David Finn che negli anni 80 costruiva dei fantocci con i sacchetti di spazzatura neri, a grandezza naturale, per poi posizionarli in luoghi specifici, nei parchi per rappresentare i barboni che non avevano posti dove dormire, sugli alberi come fossero uomini volanti, oppure incatenati lungo una rete metallica sulla strada che unisce Bowery a Broadway, che rappresentavano le fucilazioni in Guatemala di quel periodo. Insomma i nostri messaggi sono sempre stati soprattutto politici.
Un’arte che in qualche modo cercava di rompere le dinamiche della quotidianità?
Esattamente. La routine quotidiana veniva interrotta da questa possibilità di imbattersi in azioni “straordinarie” come un uomo con le ali sui pattini che sfrecciava in mezzo alle macchine facendo qualche volta “incazzare” i tassinari, che infatti mi odiavano. Questa visione inaspettata e scioccante, rimaneva impressa nella memoria perché, anche se per pochi minuti, interrompeva appunto le dinamiche quotidiane. Ancora credo in questa possibilità di inventare delle cose che possano scuotere gli altri dal torpore. E’ questa la molla che mi spinge ancora a portare avanti un’arte di questo genere.
L’arte di strada così intensa, con la sua portata di “senso”, di messaggi in qualche modo rivoluzionari è anche un modo per sfidare le logiche commerciali del sistema dell’arte?
Non c’è dubbio. E’ una reazione ai “mercanti” che hanno il potere di muovere le cose. La Street art ha rappresentato una fuga da questa logica, ovvero quella del mercante, della galleria che ti impone un certo prodotto solo per venderlo. Si deve essere liberi. I primi writer hanno dato l’esempio lasciando i loro ghetti del Bronx, del Queens. Dipingevano sui vagoni del treno, che erano bellissimi, colorati. In loro in realtà non c’era un vero e propio messaggio, c’era l’intenzione di lasciare il ghetto e andare a “rompere le scatole”, invadere gli spazi più borghesi, era una specie di élite, di nicchia, si riconoscevano tra di loro, potevano decifrare la “tag” lasciata e capire di chi fosse. Questo graffitismo in realtà non ha però diffuso particolari messaggi.
Quindi vuole dire che la street art rispetto al graffittismo offre un messaggio più ampio?
Questa è la cosa fondamentale solo che non è stata capita fino in fondo.
Parliamo della sua passione per il volo
Il volo si rifà al concetto di mitologia e al concetto di desiderio. Il desiderio di fuggire da qualcosa che ti tiene prigioniero. Il volo, come la mitologia, diventa una sorta di realtà parallela che avvicina ai sogni, ma mentre i sogni non si possono controllare, la realtà della mitologia è un sogno desiderato che diventa realtà.
Poi ci sono i suoi animali metallici, perlopiù rettili, reali e fantasiosi allo stesso tempo, che incarnano una sorta di forza primordiale
Ma diciamo che questi animali sono sicuramente simbolici. I rettili incarnano un passaggio, dall’acqua all’aria, simbolo di una trasformazione e di una evoluzione. Questi rettili meccanici sono anche una specie di nuova generazione che compete con le macchine.
In tutta questa ricerca lei tuttavia non ha mai abbandonato completamente la pittura
La pittura è come una specie di “orto” personale dove rifugiarsi, una sorta di “playground” molto intimo. La pittura fa parte di quell’angolo dove mi piace rifugiarmi, nel mio studio mi piace giocare con i colori, come un bambino con i suoi giocattoli.
Progetti futuri… in Italia, nel Mondo?
In Giappone. Intanto spero di essere stato utile a chiarire cosa sia la Street Art rispetto ad altri movimenti, che non condanno sia chiaro. Io condanno solo chi adopera l’arte per scopi commerciali.
Keith Haring e Paolo Buggiani a Firenze. La vera origine della Street Art. Intervista a Paolo Buggiani

Sono le sale di Palazzo Medici Riccardi di Firenze ad accogliere, dal 26 ottobre al 4 febbraio 2018, “MADE IN NEW YORK. KEITH HARING, (Subway drawings) Paolo Buggiani and co. La vera origine della Street Art”, la mostra a cura di Gianluca Marziani, prodotta e organizzata da MetaMorfosi
FIRENZE – Keith Haring e Paolo Buggiani sbarcano insieme a Firenze, protagonisti di una grande esposizione che ha lo scopo non solo di analizzare le origini di un movimento spontaneo che, da oltre quarant’anni, anima pareti, strade, edifici e ogni superficie, ma anche di chiarire e tracciare una linea di demarcazione tra la cultura del Graffitismo e la dimensione più ampia della Street Art.
Lo sfondo da cui prende il via l’esposizione è quello di una New York fine anni Settanta inizi anni Ottanta, in pieno fermento creativo, crogiolo di moti generazionali come graffitismo, rap, skateboarding e break dance. E’ nella Grande Mela che Buggiani, toscano classe 1933, inizia ad usare la metropoli come un museo a cielo aperto, trovando terreno fertile per le sue “incursioni”, ed è qui che conosce Keith Haring, il ragazzino geniale che presto sarebbe diventato una leggenda dell’arte contemporanea. Ed è proprio Buggiani che, intuendone la potenza creativa e soprattutto il potenziale futuro, quasi da collezionista ante litteram, stacca dai muri, salvandole, una cinquantina di Subway drawings, ovvero le prime opere di Haring, realizzate in gessetto sulle affissioni nere che coprivano le pubblicità scadute.
Haring all’epoca agiva rapidamente e contro il volere delle guardie o sotto gli occhi dei passanti, scivolando via un attimo dopo l’esecuzione. Motivi semplici ma iconici quelli rappresentati dal giovane artista, che in brevissimo tempo però sarebbero diventati il prologo di una rivoluzione creativa globale. Insomma tutto è davvero partito nei sotterranei di New York, dal sottosuolo verso l’olimpo dei musei e delle grandi gallerie. Dal canto suo Buggiani nella Grande Mela, accendeva l’antagonismo urbano tramite performance plateali ad alto contenuto “politico”. Buggiani creava scalpore e bellezza spontanea allo stesso tempo, rompendo le dinamiche della quotidianità con la “straordinarietà” delle sue azioni, diffondendo un messaggio diretto, di libertà, di ribellione, ma anche di pace, inducendo quindi anche a una riflessone.
La mostra fiorentina presenta oltre 20 opere originali di Haring, salvate dalla distruzione e conservate da Paolo Buggiani. A riprova inoltre della loro amicizia, è presente un prezioso disegno di Haring che ci mostra un uomo con le ali e una dedica: FOR PAOLO. Da quel momento, il personaggio volante di Buggiani sarebbe diventato uno dei soggetti pittorici del genio di Kutztown. Sempre di Haring si vedranno due opere su tavola del 1983.
Un’ampia sezione della mostra racconta l’arte di Paolo Buggiani, con decine di fotografie che documentano le sue performance e le sue installazioni a New York; alcune immagini sono state ritoccate in modo originale, così da trasformare la foto di un’azione nell’icona pittorica di un sogno realizzato. Completano il progetto i lavori di alcuni compagni di strada (Richard Hambleton, Ken Hiratsuka, Jenny Holzer, Barbara Kruger, Les Levine, David Salle), oltre ad una pregiata selezione di poster originali, fotografie e documenti video che ampliano i contenuti e le testimonianze di una storia bellissima. In esposizione anche un cospicuo nucleo di sculture dei suoi rettili in lamiera leggera, una sorta di bestiario tecnoprimitivo dislocato negli spazi storici di Palazzo Medici Riccardi. Si aggiungono poi due sculture di grande potenza scenica: la barca e l’automobile, entrambe in lamiera ritagliata e modellata, due capolavori che sembrano scendere direattamente da Mad Max per parcheggiare nel cuore del Rinascimento fiorentino. Infine anche il Minotauro e Icaro, due corpi mitologici che hanno attraversato New York e altre città del mondo, giungono oggi dentro il museo, nel luogo che certifica il valore storico di un’idea vincente.
Ma non è tutto. Nel mese di dicembre (data ancora da stabilire) verrà presentato un volume che documenterà il progetto nella sua interezza. Nella stessa data sarà organizzata anche una giornata di studi che coinvolgerà artisti, storici dell’arte, galleristi, collezionisti e altri operatori del settore, con lo scopo di chiarire alcuni nodi storici e codificare le conseguenze germinative di un linguaggio divenuto globale.
La mostra è patrocinata da Città Metropolitana dI Firenze con il contributo della Regione Toscana.
Foto inaugurazione
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Foto dell’allestimento
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Alcune opere
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Paolo Buggiani. L’intervista
In occasione della mostra fiorentina, abbiamo avuto modo di parlare con Paolo Buggiani, con l’intenzione di approfondire alcuni aspetti della sua evoluzione artistica e di comprendere la portata rivoluzionaria della Street Art, con le sue implicazioni politiche, sociali e culturali, che vanno ben oltre rispetto al fenomeno del Graffitismo.
Partiamo dunque da New York, dove tutto è cominciato e che per lei è stato il “campo d’azione, di “battaglia”, dove scelse un approccio, se vogliamo, più “effimero” rispetto agli inizi della sua carriera, quando il suo fare artistico rientrava ancora in canoni e modalità più convenzionali
Fino a che non sono arrivato a New York non ho cambiato il mio modo di pensare. – Spiega Buggianii, che ci racconta che, tuttavia questo cambiamento è stato preceduto da un’esperienza parigina -.
Negli anni Cinquanta ero a Roma presso la galleria Schneider da diversi anni, ed ero tra i più giovani pittori, “accettato” da quelli che avevano 20anni più di me, come Turcato,Consagra… Agli inizi degli anni Sessanta avevo preso uno studio a Parigi e presentavo una mostra alla Galleria di Wilfredo Lam, che aveva visto e apprezzato i miei quadri. Proprio a Parigi è cominciato il mio cambiamento. Andai infatti a vedere una mostra di Yves Klein alla Galerie Iris Clert. Quell’esposizione rappresentò una rottura rispetto alla mia concezione più convenzionale di arte. La galleria era tutta dipinta di blu, la mostra era quindi la galleria stessa.
Io non avevo venduto quadri a Parigi, forse due mi sembra, ma li comunque conobbi Paul Bianchini che mi invitò a ripetere la stessa mostra a New York. Partii dunque per New York, in nave. Sei giorni di viaggio e col rischio di non arrivare. A metà viaggio, infatti, arrivò la notizia che Kennedy aveva intimato le forze russe al ritiro da Cuba, il rischio era quello di una guerra atomica. In quel momento proprio in mezzo al mare pensai “speriamo non scoppi la guerra propio adesso”!
Alla fine però arrivò a New York e li cominciò il vero cambiamento…
Arrivai a New York all’alba, quando era immersa nella nebbia. Sembrava una specie di sogno. In quel periodo rimasi molto impressionato da alcuni cartelli, con scritte tipo “don’t walk”, le luci che si accendevano e spegnevano, dai cantieri per la costruzione di nuovi grattacieli. Tutto andava molto veloce e io cominciai a fare una serie di quadri ispirati proprio a questo dinamismo newyorkese, quadri con luci, con frecce che indicavano la direzione da prendere.
Li ho conosciuto Andy Warhol, il direttore del Metropolitan Museum, la fotografa Diane Arbus, ho conosciuto i protagonisti della Pop Art che stava emergendo. Questo è stato il primo viaggio a New York, dove sono rimasto fino al ’68, poi sono tornato in Italia per dieci anni. Dopo l’esperienza americana avevo cambiato completamente il mio modo di pensare. Non dipingevo più nel modo astratto tradizionale. Avevo un’altra percezione anche del tempo. Una posizione bilaterale tra la pittura e la ricerca del tempo, senza la preoccupazione di quanto duri l’opera. Il tempo soggettivo è misurato dalla durata della nostra vita, mentre il tempo oggettivo è infinito.
Dopo un periodo di dieci anni trascorso in Italia sul finire degli anni ’70, lei torna nuovamente a New York ed è in questo momento che avviene la vera trasformazione in artista “di strada”
Sono tornato a New York per presentare “l’arte indossabile”. Era quindi evidente che l’arte per me non era più un quadro, ma addirittura qualcosa da indossare. Il progetto era stato già presentato a Milano per Fiorucci, che all’epoca era veramente all’avanguardia e rappresentava il punto di rottura con la tradizione. Io inoltre stavo sperimentando nuove tecniche artistiche. Tornato a New York ho cominciato a considerare questa città come un grande labirinto, ho chiamato questo nuovo modo di fare arte “mitologia urbana”, la mitologia greca veniva così inserita in un contesto urbano, dentro la città moderna. Ho cominciato ad introdurre nelle mie “incursioni” la figura del Minotauro che rappresenta l’aggressione e anche la parte erotica e di Icaro che rappresenta il sogno, la fuga.
Poi c’è stato l’incontro con gli altri Street Artist e con Keith Haring. Come è avvenuto?
Mi sono trovato coinvolto con un gruppo di Street Artist. Dalla comunicazione reciproca è nata una esperienza comune, tuttavia non c’era una corrente individuabile con elementi identificabili, ognuno realizzava la sua arte pensando con la propria testa con l’intento di trasmettere determinati messaggi. Pur facendo parte del movimento “Street art” ogni individuo era completamente indipendente.
Keith Haring, per esempio, cercava di parlare al pubblico attraverso dei disegni fatti nella metropolitana, talmente semplici che potevano essere lettie osservati rapidamente durante le soste nelle stazioni. Io fotografavo questi disegni sulle pubblicità scadute fatte con il gessetto e seguivo lo sviluppo di questo linguaggio figurato, di settimana in settimana, ma soprattutto i suoi messaggi sociopolitici.
Haring conosceva a sua volta le mie sculture volanti di Icaro che io attaccavo alle “Fire escape”, alle scale antincendio. Si vedevano dalla strada queste silhouette del pattinatore nero con la vela colorata. La gente le fotografava e Haring mi raccontò scene a cui lui stesso aveva assistito in cui la polizia tentava di tirare via queste sagomeperché ritenute pericolose, ma di fatto non lo erano. Questo pattinatore volanteè entrato poi anche nei personaggi di Haring e quando ci siamo conosciuti lui mi dedicato un catalogo intitolato FOR PAOLO, appunto con l’uomo volante. Anche nell’ultimo grande pannello che ha realizzato a Pisa che si chiama “Todo mondo” c’è il mio personaggio dell’uomo volante, si trova sulla parte sinistra dell’opera.
La sua arte, come pure la Street Art, sottende quindi un messaggio politico e sociale. Ci sono differenze con il movimento attuale?
Assolutamente, il messaggio è fondamentale e l’artista aveva il suo modo di trasmetterlo. Jenny Holzer scriveva “questa è un’arte che si suppone non debba esistere. E’ un’arte messa in posti dove tutti possano vederla. E’ un’arte che tratta di problemi seri. E’ un’arte talmente bella per dimostrare quanto le cose potrebbero essere meravigliose”. Solo queste poche parole spiegano il concetto di Steet Art che purtroppo oggi è stato travisato e mal interpretato in questo passaggio da New York all’Italia, in un modo che si avvicina molto più alla decorazione. La vera Street Art sottende appunto un messaggio politico, sociale. Basti pensare ad esempio a Ken Hiratsuka che attualmente sta realizzando un monumento celebrativo in Giappone, dedicato a dei pescatori che rimasero uccisi durante lo sgancio della bomba su Hiroshima. In porto è tornata questa barca con i pescatori tutti morti. Una denuncia, un memento per l’umanità di quello che potrebbe succedere se scoppiasse una guerra atomica. Nell’82 io ad esempio ho incendiato la silhouette di una famiglia (babbo, mamma e figli a grandezza naturale) davanti al Palazzo dell’Onu, sempre per celebrare l’anniversario della bomba su Hiroshima. Per due giorni sono andato davanti alle Nazioni Unite senza incendiare l’opera, perché ero tenuto sotto controllo. Poi la terza volta sono andato, era presente la televisore italiana e una giornalista, fotografa del ‘Village Voice’. Ho avvertito “arrivo alle sette in punto accendo e scappo”. Invece di utilizzare delle corde in fibra di vetro, che si imbevono con del keronsene, utilizzai una mistura di acetone ed alcool, perché brucia immediatamente e dura molto meno, quindi il tutto è durato circa un minuto e mezzo non di più.
Quello che voglio dire con questi esempi è che un’arte senza messaggio personalmente la trovo quasi inutile, rasenta la decorazione, l’artigianato. Oggi la street art non è portatrice di un messaggio, si ferma all’esecuzione manuale.
Voglio portare anche altri esempi significativi per far comprendere questo concetto. Uno è quello di Barbara Kruger, di cui espongo una foto in questa mostra. La foto rappresenta uomini in giacca e cravatta, al centro c’è un altro uomo, un amico che viene preso a scapaccioni e sopra è impressa una scritta di Jenny Holzer che recita “L’uomo inventa strani riturali per avere la scusa di toccare la pelle di un altro uomo”. E poi ancora David Finn che negli anni 80 costruiva dei fantocci con i sacchetti di spazzatura neri, a grandezza naturale, per poi posizionarli in luoghi specifici, nei parchi per rappresentare i barboni che non avevano posti dove dormire, sugli alberi come fossero uomini volanti, oppure incatenati lungo una rete metallica sulla strada che unisce Bowery a Broadway, che rappresentavano le fucilazioni in Guatemala di quel periodo. Insomma i nostri messaggi sono sempre stati soprattutto politici.
Un’arte che in qualche modo cercava di rompere le dinamiche della quotidianità?
Esattamente. La routine quotidiana veniva interrotta da questa possibilità di imbattersi in azioni “straordinarie” come un uomo con le ali sui pattini che sfrecciava in mezzo alle macchine facendo qualche volta “incazzare” i tassinari, che infatti mi odiavano. Questa visione inaspettata e scioccante, rimaneva impressa nella memoria perché, anche se per pochi minuti, interrompeva appunto le dinamiche quotidiane. Ancora credo in questa possibilità di inventare delle cose che possano scuotere gli altri dal torpore. E’ questa la molla che mi spinge ancora a portare avanti un’arte di questo genere.
L’arte di strada così intensa, con la sua portata di “senso”, di messaggi in qualche modo rivoluzionari è anche un modo per sfidare le logiche commerciali del sistema dell’arte?
Non c’è dubbio. E’ una reazione ai “mercanti” che hanno il potere di muovere le cose. La Street art ha rappresentato una fuga da questa logica, ovvero quella del mercante, della galleria che ti impone un certo prodotto solo per venderlo. Si deve essere liberi. I primi writer hanno dato l’esempio lasciando i loro ghetti del Bronx, del Queens. Dipingevano sui vagoni del treno, che erano bellissimi, colorati. In loro in realtà non c’era un vero e propio messaggio, c’era l’intenzione di lasciare il ghetto e andare a “rompere le scatole”, invadere gli spazi più borghesi, era una specie di élite, di nicchia, si riconoscevano tra di loro, potevano decifrare la “tag” lasciata e capire di chi fosse. Questo graffitismo in realtà non ha però diffuso particolari messaggi.
Quindi vuole dire che la street art rispetto al graffittismo offre un messaggio più ampio?
Questa è la cosa fondamentale solo che non è stata capita fino in fondo.
Parliamo della sua passione per il volo
Il volo si rifà al concetto di mitologia e al concetto di desiderio. Il desiderio di fuggire da qualcosa che ti tiene prigioniero. Il volo, come la mitologia, diventa una sorta di realtà parallela che avvicina ai sogni, ma mentre i sogni non si possono controllare, la realtà della mitologia è un sogno desiderato che diventa realtà.
Poi ci sono i suoi animali metallici, perlopiù rettili, reali e fantasiosi allo stesso tempo, che incarnano una sorta di forza primordiale
Ma diciamo che questi animali sono sicuramente simbolici. I rettili incarnano un passaggio, dall’acqua all’aria, simbolo di una trasformazione e di una evoluzione. Questi rettili meccanici sono anche una specie di nuova generazione che compete con le macchine.
In tutta questa ricerca lei tuttavia non ha mai abbandonato completamente la pittura
La pittura è come una specie di “orto” personale dove rifugiarsi, una sorta di “playground” molto intimo. La pittura fa parte di quell’angolo dove mi piace rifugiarmi, nel mio studio mi piace giocare con i colori, come un bambino con i suoi giocattoli.
Progetti futuri… in Italia, nel Mondo?
In Giappone. Intanto spero di essere stato utile a chiarire cosa sia la Street Art rispetto ad altri movimenti, che non condanno sia chiaro. Io condanno solo chi adopera l’arte per scopi commerciali.
Monet al Complesso del Vittoriano. Foto

Il corpus di opere presentate nella grande retrospettiva, a cura di Marianne Mathieu, organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, restituisce perfettamente la ricchezza artistica del lavoro del grande maestro
ROMA – E’ un Monet totale, a 360 gradi, quello che viene presentato nella mostra “Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet”, ospitata al Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, che attraversa tutta la vita del grande pittore cogliendo sia l’aspetto più privato che quello più noto e amato dal grande pubblico.
60 opere ricostruiscono dunque l’intero universo creativo, con tutte le molteplici sfaccettature, del padre dell’Impressionismo, che con la sua arte seppe tuttavia andare ben oltre, arrivando a una inquietante modernità quasi precorritrice dell’astrattismo.
Il corpus di opere presentate nella grande retrospettiva, a cura di Marianne Mathieu, organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, restituisce perfettamente la ricchezza artistica del lavoro del grande maestro. Di sala in sala si passa dalle primissime opere, tra cui le caricature della fine degli anni ’50 dell’800, ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, ai ritratti che comprendono anche quelli dei suoi figli, fino ad arrivare alle celebri tele dedicate ai fiori del suo giardino e alle monumentali deflagranti e audaci Ninfee, dove il colore scomposto in migliaia di sfumature diventa superficie vibrante, in cui la luminosità emerge con risolutezza sempre maggiore.
Monet fu uno dei primi pittori a trasferire il proprio studio all’aperto, trasformando la pittura en plein air in rituale di vita, senza mediazione alcuna. Tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e l’impero del sole, tramutava i colori in tocchi purissimi di energia, dissolvendo l’unità razionale della natura in un flusso indistinto, effimero eppure abbagliante.
Scriveva di lui Maupassant: “L’ho visto cogliere così un barbaglio di luce su una roccia bianca e registrarlo con un fiotto di pennellate gialle che, stranamente, rendevano l’effetto improvviso e fuggevole di quel rapido e inafferrabile bagliore. Un’altra volta ha preso a piene mani uno scroscio d’acqua abbattutosi sul mare e lo ha gettato rapidamente sulla tela. Ed era proprio la pioggia che era riuscito a dipingere, nient’altro che della pioggia che velava le onde, le rocce e il cielo, appena distinguibili sotto quel diluvio”.
Tra i capolavori esposti troviamo tra gli altri Ritratto di Michel Monet neonato (1878-79), Ninfee (1916-1919), Le Rose (1925-1926), Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905).
Ma non è tutto. La rassegna presenta infatti anche la ri-materializzazione di una delle celebri Ninfee. Nel 1958 un tragico incendio all’interno del Museum of Modern Art di New York danneggiò gravemente diverse opere, tra cui alcuni dipinti del maestro impressionista, andati perduti per sempre. Con un progetto unico e ambizioso e grazie alle più recenti tecnologie, Sky Arte HD ha riportato alla luce uno dei capolavori distrutti nel rogo, Water Lilies (1914-26), esposto per la prima volta al pubblico.
La mostra, aperta al pubblico fino all’11 febbraio 2018, è affiancata da un catalogo edito da Arthemisia Books.
Foto allestimento di Iskra Coronelli per Arthemisia
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Foto delle opere
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Foto dell’inaugurazione
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Vademecum
Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet
19 ottobre 2017 – 11 febbraio 2018
Biglietti
Intero € 15,00 (audioguida inclusa)
Ridotto € 13,00 (audioguida inclusa)
Orario apertura
Dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30
Venerdì e sabato 9.30 – 22.00
Domenica 9.30 – 20.30
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Informazioni e prenotazioni gruppi
T. + 39 06 8715111
Hashtag ufficiale #MostraMonet
Monet al Complesso del Vittoriano. Foto

Il corpus di opere presentate nella grande retrospettiva, a cura di Marianne Mathieu, organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, restituisce perfettamente la ricchezza artistica del lavoro del grande maestro
ROMA – E’ un Monet totale, a 360 gradi, quello che viene presentato nella mostra “Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet”, ospitata al Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, che attraversa tutta la vita del grande pittore cogliendo sia l’aspetto più privato che quello più noto e amato dal grande pubblico.
60 opere ricostruiscono dunque l’intero universo creativo, con tutte le molteplici sfaccettature, del padre dell’Impressionismo, che con la sua arte seppe tuttavia andare ben oltre, arrivando a una inquietante modernità quasi precorritrice dell’astrattismo.
Il corpus di opere presentate nella grande retrospettiva, a cura di Marianne Mathieu, organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, restituisce perfettamente la ricchezza artistica del lavoro del grande maestro. Di sala in sala si passa dalle primissime opere, tra cui le caricature della fine degli anni ’50 dell’800, ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, ai ritratti che comprendono anche quelli dei suoi figli, fino ad arrivare alle celebri tele dedicate ai fiori del suo giardino e alle monumentali deflagranti e audaci Ninfee, dove il colore scomposto in migliaia di sfumature diventa superficie vibrante, in cui la luminosità emerge con risolutezza sempre maggiore.
Monet fu uno dei primi pittori a trasferire il proprio studio all’aperto, trasformando la pittura en plein air in rituale di vita, senza mediazione alcuna. Tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e l’impero del sole, tramutava i colori in tocchi purissimi di energia, dissolvendo l’unità razionale della natura in un flusso indistinto, effimero eppure abbagliante.
Scriveva di lui Maupassant: “L’ho visto cogliere così un barbaglio di luce su una roccia bianca e registrarlo con un fiotto di pennellate gialle che, stranamente, rendevano l’effetto improvviso e fuggevole di quel rapido e inafferrabile bagliore. Un’altra volta ha preso a piene mani uno scroscio d’acqua abbattutosi sul mare e lo ha gettato rapidamente sulla tela. Ed era proprio la pioggia che era riuscito a dipingere, nient’altro che della pioggia che velava le onde, le rocce e il cielo, appena distinguibili sotto quel diluvio”.
Tra i capolavori esposti troviamo tra gli altri Ritratto di Michel Monet neonato (1878-79), Ninfee (1916-1919), Le Rose (1925-1926), Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905).
Ma non è tutto. La rassegna presenta infatti anche la ri-materializzazione di una delle celebri Ninfee. Nel 1958 un tragico incendio all’interno del Museum of Modern Art di New York danneggiò gravemente diverse opere, tra cui alcuni dipinti del maestro impressionista, andati perduti per sempre. Con un progetto unico e ambizioso e grazie alle più recenti tecnologie, Sky Arte HD ha riportato alla luce uno dei capolavori distrutti nel rogo, Water Lilies (1914-26), esposto per la prima volta al pubblico.
La mostra, aperta al pubblico fino all’11 febbraio 2018, è affiancata da un catalogo edito da Arthemisia Books.
Foto allestimento di Iskra Coronelli per Arthemisia
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Foto delle opere
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Foto dell’inaugurazione
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Vademecum
Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet
19 ottobre 2017 – 11 febbraio 2018
Biglietti
Intero € 15,00 (audioguida inclusa)
Ridotto € 13,00 (audioguida inclusa)
Orario apertura
Dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30
Venerdì e sabato 9.30 – 22.00
Domenica 9.30 – 20.30
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Informazioni e prenotazioni gruppi
T. + 39 06 8715111
Hashtag ufficiale #MostraMonet
L’arte incontra il divertimento al Chiostro del Bramante

Tinguely, Calder, Fogliati, Erlich, Creed, Neto, Collishaw, Ourlser, Wurm, TeamLab, Hans op De Beeck, De Dominicis, Gander, questi alcuni dei nomi protagonisti della mostra ENJOY , a cura di Danilo Eccher
ROMA – Al Chiostro del Bramante a Roma, il 23 settembre, apre ENJOY. L’arte incontra il divertimento, una mostra a cura di Danilo Eccher. L’esposizione prosegue il percorso iniziato già con LOVE. L’Arte incontra l’amore, una mostra di grande successo, che in soli sei mesi ha registrato oltre 150mila presenze.
Con queste rassegne, a cura di DART Chiostro del Bramante, il Chiostro del Bramante persegue una nuova linea programmatica del tutto originale e fuori dagli schemi delle convenzioni espositive.
Enjoy dunque vuole indicare non solo una diversa modalità di vivere l’arte, ma soprattutto dare “spazio e spazialità” alle opere di artisti di acclamata fama. Saranno molti i lavori site specific, pensati e costruiti dagli artisti proprio per gli ambienti del Chiostro del Bramante, così come verranno proposte molte opere inedite.
Tra i grandi nomi ospitati troviamo Tinguely, Calder, Fogliati, Erlich, Creed, Neto, Collishaw, Ourlser, Wurm, TeamLab, Hans op De Beeck, De Dominicis, Gander, i protagonisti del ‘900 storico e del terzo millennio, accomunati da un filo sotteso, il divertimento, assunto nell’accezione etimologica della parola: portare altrove.
Afferma Danilo Eccher, curatore della mostra: “La dimensione del piacere, del gioco, del divertimento, dell’eccesso sono sempre state componenti centrali dell’Arte; l’Arte sprofonda nel dolore ma si nutre di piaceri ed è sempre una danza di contrasti. L’illusione è una trasparenza che deforma la realtà, un’apparenza sottile dove tutto è possibile, suggerendo ora il dubbio dell’enigma, ora il sorriso della sorpresa”.
Dalle sculture leggere di Alexander Calder al labirinto infinito di specchi di Leandro Erlich, fino alle installazioni ludico-concettuali di Martin Creed e ai giochi di luci illusorie di TeamLab, lo spettatore potrà perdersi in una nuova realtà tutta da scoprire.
Come sosteneva Paul Klee: “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.
Vademecum
Dal 23 Settembre 2017 al 18 Febbraio 2018
ROMA, Chiostro del Bramante
www.chiostrodelbramante.it/
dal 23 settembre 2017 al 25 febbraio 2018 HASHTAG UFFICIALE
#enjoychiostro
INFO e PRENOTAZIONI
T / M +39 06 68809035 (Lunedì – Venerdì 10.00 / 17.00)
infomostra@chiostrodelbramante.it
Orari
Da lunedì a venerdì 10.00 – 20.00
Sabato e Domenica 10.00 – 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Aperture straordinarie
1° novembre 10.00 – 21.00
8 dicembre 10.00 – 21.00
24 dicembre 10.00 – 17.00
25 dicembre 16.00 – 21.00
26 dicembre 10.00 – 21.00
31 dicembre 10.00 – 19.00
1° gennaio 10.00 – 21.00
6 gennaio 10.00 – 21.00
La biglietteria chiude un’ora prima
BIGLIETTI
Acquisto biglietti online: www.ticketone.it
Biglietto intero 13 € (audio guida inclusa) Biglietto ridotto 11 € (audio guida inclusa)