Palazzo Collicola a Spoleto: quattro mostre per chiudere l’estate in bellezza
Intervista a Gianluca Marziani, direttore dell'istituzione spoletina dedicata al contemporaneo, che racconta l'anima delle mostre curate personalmente per la stagione estiva SPOLETO – Sono cinque le esposizioni che fino al 7 ottobre vale la pena di visitare a Spoleto negli spazi di Palazzo Collicola Arti Visive, il museo Intitolato alla memoria di Giovanni Carandente che nel cuore del centro storico di Spoleto rappresenta, Insieme alla Collezione Burri di Città di Castello, la più importante istituzione dedicata all’arte contemporanea dell’Umbria. Tutte e cinque le mostre portano la firma di Gianluca Marziani, l’eclettico direttore del museo. ArteMagazine gli ha chiesto perché andarle a vedere e cosa hanno portato nella Spoleto estiva del 2018. “Il Piano Nobile di Palazzo Collicola Arti Visive ha aperto a giugno le sue quinte settecentesche per ospitare un nuovo progetto d’artista, disegnato in maniera “sartoriale” sul modello domestico delle stanze – spiega Marziani introducendo EUGENE LEMAY Ghost Witness Shadow, la mostra dell’artista israeliano che vive a New York e Miami- L’approccio con Eugene Lemay segue le consuete regole di un inserimento morbido e inclusivo, ricreato con modi mimetici che si fondono nell’antico senza modifiche sostanziali. Nel suo specifico ho inserito quattro gruppi di lavori, due puntati sulla connotazione negativa dei soggetti – i volti dei senatori coinvolti nell’uso di armi in America e un grappolo di bombe a mano ormai inoffensive ma dall’aria minacciosa – e positiva dall’altra – con le pitture che raccontano i volti degli uomini che hanno contribuito al bene dell’umanità”. Tornato in Italia dopo una personale al Macro nel 2015, Lemay integra le sue opere con gli spazi dell’appartamento gentilizio che lo accoglie puntando sulla pura potenza metaforica degli elementi delle sue opere, capaci di incarnare la drammaticità del passato dell’artista in una rielaborazione potente. “Lemay attraversa il male dell’umanità – spiega ancora Marziani - con il passo metaforico dell’arte, evitando il ricatto del realismo, preferendo il passo sospeso dei riti allegorici, delle figure archetipiche, del nero che dissolve, del grigio che annebbia. Attraverso l’elaborazione digitale e l’esecuzione manuale si ricreano corpi e volti che sembrano nati dalla plastilina, dalla lana, dal vapore, dalla neve, dalla panna… sono ombre di carne, fantasmi solidi, testimoni silenti del male subìto”. La collaborazione tra Lemay e Marziani non si esaurirà a Spoleto ma, alla fine di questa mostra, proseguirà a Palermo. Saranno infatti gli spazi di Palazzo Riso ad accogliere il suo ultimo dialogo tra presente e passato. Nella Spoleto culla del classicismo italiano, Marziani in questa estate 2018 appena trascorsa ha portato anche YIGAL OZERI (1958) un autore israeliano che vive e lavora a New York, e il suo universo femminile rielaborato attraverso una fotografia post moderna nella mostra Where are we going?. “L’universo di Ozeri si riconnette ad una tradizione occidentale – spiega il curatore - soprattutto italiana, di ritrattistica al femminile, dai volti virginali nella Firenze del Cinquecento al bianco neoclassico di Antonio Canova, passando per l’Ottocento di Giovanni Boldini, il Novecento di Amedeo Modigliani... Ozeri attraversa le matrici del femminile e le conduce in un’epica urbana, multirazziale, eterogenea. Le sue creature sono le Madonne dei nostri giorni, le Sante di un presente caotico, le gran dame di un oggi virtuale ma non sempre virtuoso. Sono le amazzoni della città visibile, gli sherpa del nostro cammino interiore, le giovani madri dell’umanità che vede il futuro. Sono la risposta alla cultura della violenza, un contrattacco morbido con colpi di bellezza e azioni poetiche. Potete starne certi: il futuro dell’umanità dovrà passare per le traiettorie del sublime, dell’estasi, del desiderio, della bellezza”. In mostra però, c’è anche un uomo. “L’unica figura maschile in mostra è lo stesso artista, un primo piano in bianconero che scruta come un demiurgo davanti agli allievi. Il volto espressivo e la chioma di capelli hanno l’impatto minuzioso dei ritratti di Bronzino e Rembrandt, quel modo chirurgico di gestire il climax con mirabile drammaturgia. Yigal Ozeri incarna gli occhi delle nostre risposte possibili, somigliando ad una guida che ci osserva mentre la Bellezza rivela le coordinate dell’isola”. Marziani condivide con Miliza Rodic, la cura della mostra “ANDREA PACANOWSKI All’infuori di me” grazie alla quale l’artista presenta a Spoleto una quindicina di lavori fotografici. “All’infuori di me raccoglie masse umane, corpi in ordine militaresco, gente in uniforme, gruppi rituali. Sono pattern collettivi che provengono, in particolare, dal consesso religioso in esterni, dai luoghi d’aggregazione dei culti monoteistici più diffusi. Le foto racchiudono tasselli d’umanità in un telaio geografico che gioca con l’astrazione pittorica e le iconografie del web, creando un cortocircuito estetico di alta fattura”. Una tecnica raffinata quella di Palanowski, che mette al centro del lavoro dell’artista la rielaborazione dell’immagine fotografica. L’ultimo appuntamento da non perdere a Palazzo Collicola entro il 7 di ottobre è con GIORGIO ORTONA e il suo F.I.C.O. Feticci Individui Case Oggetti, una mostra in cui l’artista dipinge "non solo ciò che vede ma ciò che gli occhi odorano, ciò che le orecchie assaggiano, ciò che la bocca ascolta… un’apparente contraddizione dei sensi, specchio veritiero di un pennello che il contrasto semantico lo risolve al suo interno: pittura sporca eppure chirurgica, brulicante ma asciutta, realistica e al contempo mentale. Una pittura di contrasti sanati, dove lo stesso telaio di legno grezzo, pur imitando il pallet da cantiere, si trasforma in un distanziatore dalla perfetta calibratura. Una contraddizione che si risolve anche nei fondali: si intravedono linee, numeri e tacche che palesano la natura architettonica della tavola, come se il fondo fosse la cellulosa su cui l’autore progetta le visioni. Qui esce fuori l’anima d’architetto, il passato universitario e la disposizione mentale; emerge l’angolo di sguardo che certifica un imprinting ma anche il suo cortocircuito per merito di un linguaggio, la pittura, che ridefinisce il sentimento profondo dell’architettare. E’ un mondo di affetti e sensazioni vive, un legame vigile con la prosa del quotidiano: la città al di fuori, le persone e gli oggetti negli appartamenti, sui terrazzi, davanti ad una porta, dentro un negozio, in piedi per strada, dovunque il corpo, un cibo o un oggetto siano integrazioni biologiche della città pulsante. Lo stesso autoritratto, oggi esposto con alcune varianti, coinvolge magliette o giubbotti che l’autore, dileguatosi nel bianco pittorico, indossava al momento della foto, offrendoci così un ritratto per assenze, per evocazioni urbane, per rumori di fondo". Da non perdere anche la mostra presso la Casa Romana del duo TTOZOI. GENIUS LOCI, ideato da Stefano Forgione e Giuseppe Rossi, sotto la cura di Gianluca Marziani, nasce dall’idea di realizzare opere d’arte direttamente nei luoghi storici prescelti, attraverso l’originale tecnica della proliferazione naturale di muffe su juta, con interventi pittorici successivi. Come dice Marziani: !La muffa diventa puro codice linguistico, un applicativo biologico che conduce la pittura al punto limite delle sue possibili mutazioni. La grammatica dei TTOZOI rigenera i modelli archetipici di Calzolari e Penone, riportando l’orbita iconografica nei perimetri evolutivi del quadro. L’azione naturale non si disperde ma avviene su superfici circoscritte, sotto il controllo dello spazio d'azione. Un evento tra casualità e controllo che radicalizza il legame tra Arte e Natura, rendendo la biologia un fenomeno elaborativo e partecipativo. Una dialettica viva che porta il fattore creativo nel cuore pulsante del ciclo naturale”. Il “concettualismo naturalmente informale” o “l’informale naturalmente assoluto” che è alla base dell’operato di TTOZOI, evolve il suo naturale processo creativo, ponendosi a contatto con tre siti Unesco, simboli universali della cultura architettonica e archeologica italiana: la REGGIA DI CASERTA (novembre 2017) con la sua necropoli sannita databile IV sec a.C., riportata alla luce nel 1990 nell’area sottostante il secondo cortile; l’ANFITEATRO DEL COMPLESSO ARCHEOLOGICO DI POMPEI (dicembre 2017) dove il duo ha utilizzato gli ambulacri, sepolti dall’eruzione del Vesuvio del 79 e poi riportati alla luce; infine il COLOSSEO (prossimamente), il più grande anfiteatro del mondo, simbolo globale di Roma ed icona d’Italia. All’interno di questo processo che diventa fusione molecolare e concettuale, giunge la mostra alla CASA ROMANA di Spoleto, sorta di spin-off espositivo che inserisce una residenza privata tra le tre tappe monumentali. {igallery id=65|cid=1138|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0} ...