La lezione di un rivoluzionario
Padova. Le vastissime ripercussioni della lezione galileiana non mancarono di riverberarsi sui linguaggi artistici, in quel passaggio epocale che vide l’astrologia trasformarsi in astronomia, la superstizione in scienza. Non è dunque un caso che la grande mostra che dal 18 novembre al 18 marzo Giovanni Carlo Federico Villa e Stefan Weppelmann curano presso il Monte di Pietà di Padova si intitoli «Rivoluzione Galileo». Promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la mostra ricostruisce vita e carattere del grande scienziato che visse nella città veneta i diciotto anni più felici della sua vita, grazie alla libertà concessagli da quell’Università patavina che lo ricorda con un fitto programma collaterale di iniziative, incontri e approfondimenti.Al Monte di Pietà capolavori assoluti dell’arte occidentale (tra gli altri, la «Mappa celeste boreale» e la «Mappa celeste australe» di Albrecht Dürer, i disegni di Leonardo da Vinci, «L’origine della Via Lattea» di Rubens) dialogano con testimonianze e reperti di diversa natura (ad esempio, i cannocchiali secenteschi di Francesco Fontana e Giuseppe Campani), come gli straordinari acquerelli con cui Galileo «annotò» le proprie indagini sul cielo. Scopo della mostra è infatti non solo rendere omaggio allo scienziato che introdusse il metodo sperimentale, ma anche rivalutarne i talenti di letterato, musicista, imprenditore e critico d’arte (secondo Erwin Panofsky era uno dei maggiori critici d’arte del Seicento). L’influenza di Galileo sulla storia dell’arte fu evidente già nel primo Seicento non solo con la minuziosa resa della natura propria ad esempio dei Brueghel e di Abraham Govaerts («Quattro elementi»), ma anche nella pronta ricezione delle sue più importanti scoperte. Avvenne così che, dopo la pubblicazione del trattato di astronomia Sidereus Nuncius (1610), Adam Elsheimer dipingesse per primo una realistica Via Lattea nella sua celebre «Fuga in Egitto», mentre moltissimi altri artisti restituirono la nuova immagine della luna regalata dall’uso del cannocchiale. Se l’«Atlante» del Guercino oggi al Museo Bardini di Firenze è denso di rimandi alle tormentate vicende umane dello scienziato, un’intera generazione di artisti (cui appartennero Artemisia Gentileschi e l’Empoli) ne acquisirono a Firenze le scoperte, mentre nella Bologna settecentesca Donato Creti con il ciclo delle «Osservazioni astronomiche» (ora alla Pinacoteca Vaticana) rappresentò stelle e pianeti come appaiono al telescopio per volontà del conte Luigi Marsilj, che donò il ciclo al papa sperando di convincerlo a realizzare a Roma un osservatorio astronomico. Una sezione della mostra è dedicata alla costruzione ottocentesca del mito di Galileo, a partire dalla Tribuna voluta nel 1841 dal granduca Leopoldo II di Lorena nel fiorentino Palazzo Torrigiani. Passando da Gaetano Previati («La danza delle Ore», 1899 ca) e Giacomo Balla, si giunge poi fino all’arte contemporanea con Giulio Paolini, Michael Najjar, Luc Tujmans e Anish Kapoor, la cui scultura «Laboratory for a New Model of the Universe» (2006) apre la mostra. ...