Modì meno maudit
Londra. Un nuovo capitolo della vicenda espositiva di Amedeo Modigliani si apre dal 23 novembre al 2 aprile alla Tate Modern. A cura di Nancy Ireson, curatrice per la Tate della sezione International Art, e Simonetta Fraquelli, curatrice indipendente, la mostra londinese «Modigliani» prova a proporre un punto di vista nuovo per guardare a uno degli artisti più conosciuti e riprodotti dell’arte del Novecento. «Abbiamo cercato di uscire dal solito mito di Modigliani, l’artista povero, drogato, malato eccetera, e di capire come abbia realmente interagito con la Parigi di allora e con i personaggi che lo hanno circondato», racconta Simonetta Fraquelli, già curatrice della mostra di Modigliani proposta dalla Royal Academy di Londra nel 2006, delineando un percorso di circa cento opere tra dipinti e sculture. «Come succede anche oggi, prosegue la Fraquelli, Modigliani è un giovane artista che arriva nella “mecca” dell’arte e si confronta con le nuove tendenze per sviluppare poi uno stile personale». La Parigi che accoglie l’artista livornese nel 1906, ricostruita in un’apposita sala grazie alla realtà virtuale offerta dalla collaborazione del museo con Htc Vive, è il centro del mondo artistico internazionale: la sala iniziale della mostra è dedicata proprio alle conseguenze sulla produzione artistica di Modigliani delle prime suggestioni parigine, dall’interesse per Cézanne agli scambi d’idee con i nuovi amici Toulouse-Lautrec, Van Dongen e soprattutto Brancusi. Nove sono le sculture riunite per raccontare il desiderio profondo dell’artista di essere scultore. Secondo la Fraquelli, sono proprio le sculture a dimostrare un’altra suggestione che Parigi provoca sull’artista, proveniente da una formazione artistica delineata in Italia e dalla cultura ebraica di appartenenza familiare: l’incontro con l’arte africana e l’arte oceanica. Ci sono poi i ritratti degli amici, tra cui i tanti stranieri rimasti a Parigi durante la prima guerra mondiale, e naturalmente le donne. Dieci nudi, tra cui il «Nudo seduto» (1917) proveniente dal Royal Museum of Fine Arts di Anversa, e il «Nudo disteso» (1919 ca) del MoMA di New York, aiutano a restituire un po’ di verità storica anche su quello che è uno degli aspetti più sfruttati del mito di Modì. «Non solo muse, precisa la curatrice. Anche da questo punto di vista abbiamo voluto raccontare la storia e non il “romanzo” delle modelle, donne con una loro personalità definita, che lavorano durante la guerra per cercare di mantenersi. Siamo sicuri dell’autenticità delle nostre opere, tutte incluse nel catalogo Ceroni, conclude la Fraquelli. In questi anni le ho seguite nei loro spostamenti da una collezione all’altra. In mostra ne abbiamo di molto conosciute, provenienti dai tanti musei, ma molte vengono da collezioni private e sono poco visibili. Si spera sempre di trovare nuove informazioni su Modigliani. Sono sempre troppo poche». ...